Programma e Abstracts delle Presentazioni CCII

Programma e Abstracts delle Presentazioni CCII

PROGRAMMA:

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Costume Colloquium II: Dress for Dance

ABSTRACTS delle PRESENTAZIONI:

Brandin Barón-Nusbaum (Professor of Design and Design History, University of California, Santa Cruz, USA)

Camargo come musa della moda

Marie-Anne Cupis de Camargo (1710-1770) fu una delle prime famose ballerine soliste, e, si può  dire, la prima supermodella francese. Poco dopo il suo debutto al’Opéra di Parigi nel 1727, la  sua padronanza dei passi di danza che fino a quel momento erano stati eseguiti solo da ballerini  maschi la costrinsero ad apportare cambiamenti ai costumi modificando le gonne lunghe fino a  terra e le ingombranti scarpe indossate dalle danzatrici donne. La carriera della Camargo trasse  grande vantaggio dall’esplosione delle immagini a stampa che documentavano l’evoluzione del  suo stile, che rendeva incerto il confine tra performance e personaggo pubblico. Il “look” della  Camargo ispirò marchandes de mode e stilisti del Settecento, e la sua impronta influenzò molti  campi della moda, acconciature, arredamenti e cucina. Dopo la sua morte, gli ideali basati sulla  mistica creata intorno a lei hanno continuato a produrre nuove forme di balletto; da oltre 200  anni la Camargo rimane un’icona della storia della danza e della moda. Questa presentazione visiva illustra immagini legate alla Camargo, sia in un contesto storico che come modello collettivo tuttora in grado di ispirare stilisti e costumisti di oggi.

Christina Bates (Curator of Social History, Canadian Museum of Civilization, Gatineau, Canada)

Abiti per il ballo nel Canada del 18° Secolo: esperienze pratiche dalla ricerca alla creazione

La mia interpretazione del rapporto tra danza, portamento e abbigliamento nel Canada del XVIII secolo si basa su fonti documentali tradizionali come resoconti dell’epoca, ritratti, manuali di danza e indumenti originali. A questi si aggiunge una fonte non convenzionale: il mio corpo che esegue danze de Settecento in costumi del periodo. Danza, portamento e abbigliamento erano essenziali nella creazione una società colta alle frontiere del Nuovo Mondo. Le apparenze avevano un ruolo importante nell’ambiente politico, economico e sociale delle colonie. Un corpo elegante indicava una mente raffinata e un carattere sicuro di sé, qualità desiderabili in Canada quanto in Francia o in Inghilterra. Un abbigliamento strutturato contribuiva a creare la silhouette modellata che andava di moda nel Settecento. Scarpe e corsetti rigidi, ampie crinoline e abiti a coda di rondine aiutavano a eseguire il minuetto e altre danze piene di grazia formale. Il fatto di eseguire io stessa queste danze in costume ha molto favorito la mia comprensione della connessione tra danza e abbigliamento. Indossare un corsetto fa comprendere in modo viscerale come si creava una postura rigida appiattendo e costringendo la parte anteriore del busto e avvicinando le scapole sulla schiena. Danzare dimostra quanto tale postura si addicesse all’estetica di quel tipo di ballo e ai movimenti stilizzati di busto, braccia e piedi.

Gillion Carrara (Adjunct Professor and Director, the Fashion Resource Centre, The School of the Art Institute of Chicago, USA)

Soundsuits – Nick Cave e la Danza

La sfrenata confluenza di estetiche multiple non solo scorre, ma urta e cozza nel catturare i sensi dell’ignaro spettatore. È sempre avvincente analizzare la monumentale esecuzione dell’opera di Nick Cave Soundsuits con le sue figure eroiche meticolosamente create a mano da questo artista visivo, performer e designer. Imponenti figure giustappongono costumi transculturali, interpretazioni clownesche e improvvisazioni di danza. Ogni decisione presa dall’artista (dalla decorazione creata da detriti di vario tipo, spesso con materiali di risulta, ai manufatti culturali e ciò che implicano, al colore e disegno, forma e taglio stravaganti) è vagliata attentamente. I Soundsuits, i suoi veri eroi, prendono vita quando vengono indossati da ballerini in spazi pubblici, gallerie d’arte e musei, accompagnati da percussionisti che ne segnano il ritmo e filmmaker che ne documentano ogni movimento. Lo scopo di Cave come artista è quello di ammaliare coi colori e il luccicare di queste enormi figure, incantando i visitatori col mistero e la meraviglia, con la curiosità, e anche col disagio. L’immaginazione di chi guarda precede il roteare delle figure alla nota successiva, a cui saltare e correre in una cacofonia di suoni, rivestiti da una sovrabbondanza di elementi sovrapposti. Le forme di Cave, ricoperte di tessuti, occupano più dello spazio medio di una persona ed estendono il corpo, rendendo monumentale la normalità e creando apparenze illusorie. Molti dei suoi elementi riciclati una volta servivano a uno scopo intenzionale, per rispetto verso la natura dei materiali che l’artista ha trovato tra gli scarti, comprato o acquisito in altro modo. Questi oggetti, che una volta avevano una funzione banale e quotidiana, sono ora trasformati in strumenti straordinari che concorrono a formare un’estetica trans-culturale.

Chanel Clarke (Curator of the Maori Collection at Auckland Museum, New Zealand)

Dal lino allo spandex: l’evoluzione dei costumi da danza Maori

Benché esistano molte pubblicazioni, passate e presenti, che trattano diverse forme di danza e  canto Maori, una loro rapida analisi rivela che di rado si parla di abbigliamento in questo  campo. Questo saggio prenderà le mosse dai cinque diversi periodi di sviluppo della musica  Maori suggeriti da Barrow: Tradizionale, Primo Europeo, Missionario, Secolare e Moderno, e  riesaminerà queste fasi ponendo l’attenzione sull’evolversi dei costumi Maori dai tempi  precedenti alla colonizzazione fino ai giorni nostri. Aggiungerò un periodo post-moderno che  prende in considerazione gli sviluppi che hanno avuto luogo in Nuova Zelanda dopo la  pubblicazione del libro di Barrow all’inizio degli anni Sessanta del Novecento. In particolare,  qesto saggio prenderà in esame il clima sociale e politico della società Maori e il modo in cui le  espressioni dell’identità Maori vengono manifestate per mezzo della danza e dei relativi  costumi. Esso analizzerà inoltre l’influenza del turismo di massa fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sulla creazione di un costume standardizzato per le performance di danza, e come tale costume è stato alla fine riconosciuto come una sorta di costume nazionale neozelandese sia in patria che all’estero.

Anna Maria Colombo (Scienza e Cultura delle Alpi, Università di Torino, Italy)

Costumi e danze tradizionali  nelle comunità  dell’arco alpino occidentale

L’intervento prenderà in considerazione alcuni costumi tradizionali impiegati in area alpina in occasioni festive durante le quali  hanno luogocaratteristiche danze, ad esempio la Danza delle spade in Val di Susa, che si tiene ogni anno nel mese di Aprile presso il Comune di San Giorio,  e quella delle Landzette che si svolge durante il carnevale nella Valle del Gran San Bernardo.  Si  analizzeranno  la loro foggia,  le loro peculiarità  decorative e cromatiche evidenziando le relazioni  sia materiali,  sia simboliche che i costumi hanno con i  “movimenti danzanti”.  Seguirà una riflessione  sulla rinascita delle feste alpine e sulle trasformazioni che si  producono negli apparati cerimoniali tessili.

Hilary Davidson (Curator of Fashion and Decorative Arts, Museum of London, UK)

I costumi da ballo nel museo di Londra

Le collezioni del Museum of London raccontano la storia di Londra dagli inizi a oggi. Una parte fondamentale delle collezioni di abbigliamento e tessuti sono i costumi dei danzatori, dalle prime ballerine agli appassionati locali. Questo saggio esplora la ricca varietà di costumi per la danza conservati al Museum of London ed esamina la loro storia, interpretazione ed esibizione. Nei corsetti progettati per ‘Azella’, la prima “ballerina volante”, possiamo trovare l’uso di una tecnologia, per quanto allo stadio iniziale. I Ballets Russes a Londra fecero molte prime, fra cui Le Tricorne (1921), con i fondali di Picasso e le coreografie di Léonide Massine. Sono rappresentate anche altre produzioni di Diaghilev come La bella addormentata (1921) e L’uccello di fuoco. Il museo conserva non solo il costume di Anna Pavlova per la sua celebre Morte del cigno, ma anche le sue scarpe usate e altri abiti di uso quotidiano risalenti al lungo periodo della sua vita passato a Londra. Al contrario, una raccolta di costumi esotici, abbaglianti e molto corti ornati di perline, indossati dalle ballerine del Murray’s Cabaret Club di Soho, un nightclub londinese dove si tenevano spettacoli osé, e i costumi di scena di Kitty Lord, una produzione del burlesque di inizio secolo, suggeriscono un’esperienza molto diversa dei piaceri della performance. In tempi più recenti alla collezione si sono aggiunti contributi da parte di partecipanti a gare di ballo dilettantistiche, ballerini di ballo del Morris e suonatori di percussioni ugandesi, che mostrano facce differenti della pratica del ballo. Esplorando questi retaggi materiali del costume, tutto il complesso della ricca storia della danza a Londra prende vita

Marilyn Revell DeLong (Professor of Apparel Studies and Associate Dean for Research and Outreach, University of Minnesota, St. Paul, USA)

Moda e danza nel cinema hollywoodiano degli anni ‘30

Negli anni Trenta del XX secolo i musical di Hollywood furono un’importante vetrina per la  moda, grazie sia agli abiti indossati per le scene di danza sia all’argomento stesso dei film. Per  esempio, Fred Astaire e Ginger Rogers erano fra le stelle del cinema che comparivano spesso i  nsieme nei film, e le loro imprese nel ballo ebbero un enorme impatto per stile individuale,  musica, movimento e fantasia. Anche l’idea che i film, e anche i musical, fossero un veicolo i  mportante per l’abbigliamento alla moda si sviluppò in quegli stessi anni. Il film Roberta parla  dell’omonima casa di moda e di uno stilista che fa sfilare molti dei suoi capi in uno spettacolo di  moda e musica. Lo scopo di un film del genere era di invogliare il pubblico a spendere molto per  gli abiti di lusso. L’estetica dell’abbigliamento nella Hollywood degli anni Trenta comprende  l’analisi dei vestiti indossati in determinati musical, analizzati in termini di forma, cioè linea,  taglio, superficie, tessuto e colore. Per esempio, la curva della bellezza sotto controllo assoluto era la promessa pubblicitaria per la donna che usasse il giusto bustino modellatore. Il famoso vestito azzurro di piume di struzzo (ora esposto allo Smithsonian) indossato da Ginger durante la danza con Fred nel film Cappello a cilindro era di grande effetto, ma anche problematico per via dei materiali usati: per esempio, le piume fluttuanti necessitavano di essere fissate, il colore tenue dell’abito doveva essere controbilanciato dal nero del frac indossato da Fred Astaire. L’analisi del contesto deve tenere in considerazione l’ambiente materiale e culturale (DeLong, 1998) e trattare un’ampia gamma di argomenti, dall’insieme delle mosse del ballo, al tema del tip-tap, a musica e parole dei numeri di danza nei vari film, per poi passare a esaminare più in generale la Hollywood degli anni Trenta. Il back focus dell’abito di Ginger Rogers, soprattutto nel ballo ‘cheek to cheek’ con Fred (Gallafent, 2000), si ritrovava in quel periodo anche in molti abiti da sera usati per ballare. I significati sono in rapporto alla danza e alla moda di quegli anni, e a tendenze stilistiche di grande impatto come l’Art Déco e lo “stile paquebot”. Il vestito di piume di struzzo di Ginger Rogers ebbe grande successo, in larga misura grazie anche al fatto che evocava associazioni di idee opposte, allusive da una parte e di innocenza dal’altra (Berry, 2000). Lusso e fantasia erano temi degli anni ’30, che si ripetevano negli abiti da ballo e nell’abbigliamento mostrato nei fim. Una volta completata l’analisi dell’estetica, il saggio passa a esaminare i veri vestiti da sera degli anni ’30 presenti nelle collezioni museali (DeLong & Petersen, 2004). Basandosi sull’analisi della Hollywood di quegli anni, lo studio considera l’essenza degli abiti alla moda in relazione all’estetica, e come essa si rivela in altri abiti di quell’epoca arrivati fino a noi. Così l’autore trae le conclusioni su come forma, contesto e significato di vestiti alla moda e danza popolare fossero caratteristici degli anni Trenta.

Aurora Fiorentini (Professor of Fashion and Dress, Università di Firenze)

L’abito da ballo ‘haute couture’ nel cinema degli anni Cinquanta e Sessanta.  Il caso esemplare di Hubert de Givenchy: da “Sabrina” (1954) a “Colazione da Tiffany” (1963)

Questa mia proposta di intervento nasce in seguito ad un mio studio precedente che, nella primavera 2009, mi ha portato a Parigi  a conoscere direttamente il grande sarto Hubert de Givenchy, il quale si è dimostrato persona di grande fascino e molto disponibile nell’ approfondire alcuni argomenti relativi alla sua carriera e al suo operato. Se la sua salute lo permetterà avrei intenzione di tornare a intervistarlo su un argomento a lui  molto caro e che spesso emergeva nelle nostre conversazioni : il suo personale contributo come sarto d’alta moda nel cinema. internazionale. Forse il suo è stato il primo esempio eclatante in cui un’ attrice emergente e non ancora popolare, è il caso di Audrey Hepburn, abbia consolidato una sua personalità e un suo stile inconfondibile grazie al sapiente apporto di un couturier d’alta moda e non di manager o un costumista cinematografico. Non solo, Givenchy ha aperto la strada ad altri più recenti ma ugualmente celebrati binomi tra stilista, attore e/o regista . La sua lunga collaborazione con il cinema si apre nel 1953 e si dipanerà ben oltre la metà degli anni settanta del XX secolo, interagendo non solo con lo star system hollywoodiano ma anche con noti cineasti e attrici inglesi e francesi. Ma quello per cui viene unanimemente ricordato ancor oggi, con continue citazioni nella moda contemporanea, è l’ aver imposto un nuovo cliché di eleganza femminile, più essenziale e moderno rispetto a quello che vigeva nel mondo della costumistica cinematografica del periodo: da Givency in poi apparrà evidente il contributo stilistico del sarto di moda rispetto a quello sancito dai pur noti costume designers proposti dalle grandi case di produzione americane. A Givenchty si deve il cambiamento epocale della silhouette dell’abito da ballo, che gia in Sabrina (1954) appare sulla protagonista giocato su una chiave di lettura nuova, assolutamente differenziata rispetto alle altre coprotagoniste del film e oserei dire rispetto al resto della cinematografia internazionale. Fondamentale lo stacco che si realizza in pochi fotogrammi tra il gusto dell’alta borghesia americana e quello della neocenerentola trasformata in ‘regina’ dall’ineguagliabile glamour parigino. Givenchy dimostra di saper interagire perfettamente con la pellicola girata in bianco/nero da Billy Wilder facendo scelte mirate nell’utilizzo della linea dell’abito e delle sue decorazioni, che risultano esaltate dall’assenza del colore e dall’uso del chiaroscuro, dimostrando nel giro di pochi anni come una toilette così codificata come quella del vestito per il ballo poteva stilizzarsi ancor di più fino  a Colazione da Tiffany (1961), passando attraverso altre significativi esempi come Love in the Afternoon (1957) e Funny Face (1957). Nella pellicola di Blake Edwards sono varie le soluzioni sartoriali proposte da Givenchy con grande modernità  unita a innato  senso del design: tra tutte la più celebre rimane l’abito lungo nero con cui si apre la pellicola, girata  in Technicolor ma dove Givenchy prediligerà questa volta, accanto a qualche tocco pastello,  l’uso decisivo del nero con una funzione nuova e insolita. La silhouette elegante diventa macchia scura, profilo o sagoma  pulita ed essenziale, quasi rarefatta, attraverso un procedimento di astrazione che trasforma l’abito da sera in un concetto,  non più sottoposto alle convenzionali regole dello spettacolo che per tradizione lo avrebbero voluto il più sfarzoso e vistoso del guardaroba dell’attrice protagonista. Si rimanda certamente l’analisi dettagliata degli abiti e della loro funzione cinematografica, attraverso una carrellata esaustiva di pellicole significative, al momento dell’intervento.

Joseph Fontano (Choreographer & President of World Dance Alliance Europe, Roma)

Ballando con materiali “ready made”

Ho sempre pensato alla danza come a un’“arte visiva” che mi dà, in quanto coreografo, la libertà di creare un “total look” e non solo costumi o abiti da ballo. Colore, tessuti, illuminazione e “materiale” sono gli aspetti più importanti per i costumi. Un danzatore rappresenta una trasgressione totale del corpo umano. La forma e l’immagine appaiono per mezzo del movimento, e danno al pubblico un’esperienza sublime del movimento dell’artista all’interno del suo costume. Che il ballerino si muova o resti immobile per in istante, il costume dà l’idea di essere “parte” di quanto sta accadendo, e cattura sia il movimento che il corpo. Ho sempre creato da solo la mia illuminazione, e quasi tutte le volte anche i miei costumi. Mi sono ritrovato a utilizzare carta, plastica, pasta, tende, e molti oggetti “ready made”. Questi materiali li uso come supporto per la mia creatività nel movimento che sto ideando, e vengono cuciti, spillati, incollati, fissati, legati, avvolti o a volte semplicemente posati sul danzatore. Le gonne sono fatte di plastica ornata di pasta che è stata tinta, tenuta insieme da una “corda intorno agli scarti”. Le mie ultime produzioni hanno visto un danzatore avvolto nella “plastica” che si usa per imballare piatti e vassoi. Per un altro lavoro ho usato della carta di giornale tenuta insieme con lo scotch, che copre tutto il palcoscenico, e viene poi avvolta intorno al danzatore a formare una spirale. Diventa un vestito, una casa e un posto in cui stare, e poi un ambiente da cui fuggire.

Sam Gatley (Textile Display Specialist, Victoria & Albert Museum, London, UK)

with Cynthea Dowling (Costume Mounting & Display Specialist, Victoria & Albert Museum, London, UK)

Vestirsi per il balletto: mostra di costumi dei “Ballet Russes”

Diaghilev and the Ballet Russes è una grande mostra organizzata dal Victoria and Albert  Museum (V&A), aperta a settembre 2010, che in seguito verrà ospitata in varie sedi in Europa e  Stati Uniti. Questa mostra, che ricorda il centenario dell’arrivo a Londra dei Ballets Russes di  Diaghilev, presenterà cinquanta costumi originali dalla collezione del V&A. Si incontrano  sempre molte difficoltà nell’allestire l’esibizione di un abito conservato in un museo, ma  lavorando con questa collezione di costumi alcune di queste difficoltà si sono rivelate ancora  più pronunciate. Una di esse era: come ottenere un senso di movimento? La condizione della  collezione lo ha reso difficile, se non impossibile, a causa della natura già in origine effimera dei  costumi, e del loro conseguente degrado fisico. Molti di essi si sono fatti estremamente fragili e  deformati per via del pesante logorio a cui erano stati sottoposti, nonché dell’effetto del sudore.  A tutto ciò si è aggiunta una conservazione di qualità scadente e in generale una scarsa cura,  insieme all’usura a cui è soggetto un costume di scena prima di essere acquistato dal museo. Discuteremo gli obiettivi, i procedimenti e le difficoltà che comporta la preparazione dei costumi per questa mostra, scegliendo a questo scopo un certo numero di casi complessi.  Fra gli argomenti principali che affronteremo vi sono:

  • Contesto storico, materiali e realizzazione
  • Effetti del tempo e dell’usura sui costumi
  • Considerazioni pratiche sull’allestimento dell’esibizione dei costumi
  • Interpretazione del costume per mezzo dell’allestimento
  • Uso di riproduzioni degli accessori

John Hoenig (Theatre and Event Director, Renaissance Scholar, Firenze)

with Teresa Pasqui (Professor of Fashion and Costume Design, Università di Firenze e Istituto d’Arte, Firenze)

I disegni dei costumi di Bernardo Buontalenti per gli Intermedi del 1589

Il mese di festeggiamenti per il matrimonio di Ferdinando de’ Medici e  Cristina di Lorena nel 1589 a Firenze culminò in 6 Intermedi eseguiti fra  un atto e l’altro della commedia La Pellegrina al Teatro Mediceo degli  Uffizi. Questa serie di eventi fu realizzata con una grandiosità che oggi è  paragonabile solo a una combinazione fra la cerimonia di apertura delle  Olimpiadi e un festival di arte. Questa allegorica esibizione di potere e  magnificenza è considerata una pietra miliare nella storia del  mecenatismo, e l’importanza degli intermedi è quella di aver  preannunciato la transizione dal teatro musicale all’opera, unendo la  danza e uno spettacolo visivamente “meraviglioso”. I libri d’occasione  ufficiali e i resoconti di prima mano da parte di contemporanei sulla progettazione, la costruzione, le prove e le rappresentazioni ci consentono di conoscere nel dettaglio la preparazione di questo evento straordinario. Buontalenti, oltre a progettare il teatro,  le macchine e i fondali, disegnò i 286 costumi e sovrintese alla loro realizzazione da parte di oltre 50 sarti. Questi costumi, grazie alla loro visionarietà e immaginazione, avrebbero direttamente influenzato il design teatrale che sarebbe seguito (Parigi, Inigo Jones). Questo progetto fa parte di un viaggio di due anni dedicato alla visione e alla documentazione dei progetti per le scene e i costumi teatrali originali e dei disegni architettonici del Buontalenti, svolte in biblioteche di Firenze, Londra, Parigi e New York, oltre che allo studio di tutte le sue opere architettoniche e scultoree a Firenze e in Toscana. Il mio saggio presenterà perciò alcune nuove scoperte da un punto di vista diverso dal solito, risultato di molti anni di esperienza pratica nel teatro, e verrà illustrato da immagini dei disegni originali del Buontalenti e dei suoi contemporanei, insieme a brani musicali dagli Intermedi.

Mimi Maxmen (Costume Designer, New York City, USA)

with Holly Hynes (Costume Designer, New York, USA)

Vedere la musica. Sentire la danza

Questa presentazione congiunta illustrerà questa citazione di George Balanchine dimostrando in che modo i costumisti la usano come ispirazione per progettare costumi specifici per la danza. Disegnare costumi pensati per il movimento, per muoversi con agio sui danzatori e per comunicare il personaggio senza usare parole richiede un approccio diverso rispetto a disegnare quelli per il teatro. Prenderemo in esame questo argomento sotto diversi punti di vista. Insieme attingeremo alle nostre vaste esperienze di design e creazione. Holly Hynes condividerà la sua grande esperienza “karinskiana”, compresa la sua restaurazione e ri-creazione di alcuni dei più famosi costumi per balletto di Barbara Karinska. Entrambi abbiamo progettato il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare per il teatro e il balletto. Insieme lo useremo per illustrare quali sono le somiglianze e le differenze fra il disegno e la creazione di costumi per il teatro da una parte e per la danza dall’altra. La nostra presentazione visiva comprenderà schizzi originali, foto di produzione e fotografie dei costumi veri e propri.

Come costumisti discuteremo le questioni seguenti:

  • In che modo la musica e il movimento influenzano i nostri disegni?
  • Come si fa a creare un personaggio quando non viene scritto?
  • Come si disegnano i personaggi non tradizionali? Per esempio, un personaggio descritto come  Variazione o Divertissement?

Come Creatori discuteremo le questioni seguenti:

  • Come si realizzano i costumi per una compagnia di danza moderna?
  • Come si fa a realizzare costumi in grado di sopravvivere alle luci, al sudore, al partnering e al trucco?

Il modo in cui noi, in qualità di costumisti e creatori, interpretiamo e comunichiamo la visione del coreografo per mezzo dei costumi è il modo in cui condurremo il pubblico a “Vedere la musica. Sentire la danza.”

Jennifer Irwin (Costume Designer, Sidney, Australia)

Disegnare costumi per la danza indigena contemporanea in Australia: il Bangarra Dance Theatre.

Jennifer Irwin è la più prolifica costumista per la danza dell’Australia di oggi. Il suo lavoro ha  dato un notevole contributo al modo in cui la danza indigena contemporanea ha sviluppato il  proprio stile distintivo di grande effetto visivo, che unisce con sensibilità forme tradizionali,  eseguite ininterrottamente da più di 60.000 anni, con uno stile moderno e all’avanguardia.  Questa presentazione illustra alcuni punti salienti del portfolio della Irwin degli ultimi 20 anni,  concentrandosi soprattutto sul suo lavoro con la danza indigena contemporanea.  Il suo lavoro  con il famoso Bangarra Dance Theatre (che a breve sarà in tournée in Italia)  dimostra come la  collaborazione artistica nella danza possa attraversare i confini culturali  esplorando temi come  la tradizione, lo spaesamento culturale, le identità post-coloniali e il  ripensamento delle  “verità” storiche.

Alexandra Kajdanska (Dance Teacher & Costume Historian, Gdansk-Oliwa, Poland)

I costumi da ballo nello Yunnan: dalla danza rituale alla danza teatrale

La provincia dello Yunnan in Cina ospita 27 minoranze etniche diverse con radici culturali, usi,costumi e danze differenti. Grazie al clima  in Cina a partire dalla dinastia Tang, al cui tempo il paese era estremamente aperto all’influenza di culture e mode provenienti dall’estero. Prendo inoltre in esame i cambiamenti avvenuti nella danza e nei relativi costumi, dai tempi antichi, quando facevano parte di diversi rituali, fino alle danze etniche e ai dance dramas di oggi, con coreografie e costumi nuovi. Si può citare come esempio la storia della moderna Danza del pavone, della minoranza Dai, tradizionalmente eseguita da un uomo (stregone) che portava una maschera da uccello con la cresta (niaomianju) e aveva grandi ali attaccate alle mani. Ora è diventata una aggraziata danza per ballerina solista (che la talentuosa danzatrice Yang Liping, di etnia Bai, ha fatto conoscere in tutto il mondo nella moderna coreografia e costumi (kongquefu)), e anche il centro di famosi dance dramas (Zhaoshutun e Nanmuruona) eseguiti dal Dance Ensemble di Xishuanbanna o Ashima, basati su forme di folk tradizionale di nazionalità Yi, coi relativi eleganti costumi e con tecniche adottate addirittura dal balletto, che uniscono con ottimi risultati arte tradizionale e moderna. favorevole e al suolo fertile, gli abitanti di questa provincia sono allegri e amichevoli e amano passare il tempo libero a cantare e ballare. Lo  Yunnan è famoso per i suoi numerosi festival che attraggono visitatori di tutta la Cina e di altre nazioni. L’argomento della mia ricerca è l’esame di diverse danze dello Yunnan e dei relativi costumi, nel quadro della storia generale della danza.

Helena Kazárová (Researcher/Choreographer of 17th-18th Century Dance and Associate Professor of Dance and Ballet History and Aesthetics, Academy of Performing Arts in Prague, Czech Republic)

Danza e Storia: I costumi da ballo della collezione del Teatro Barocco di Český Krumlov

Nel magazzino del Teatro Ducale del Castello di Český Krumlov in Boemia del Sud, nella Repubblica Ceca, sopravvive una vastissima raccolta di costumi e scarpe di scena (circa 600 pezzi). Molti di essi furono usati per la danza nel periodo compreso fra il 1740 e il 1900. La mia presentazione illustrerà i pezzi più interessanti e le connessioni a noi note di tali costumi con le attività teatrali dei Principi Schwarzenberg, che usarono questo teatro fra il 1766 e il 1900 e che erano essi stessi appassionati attori e danzatori. La maggior parte dei pezzi di questa collezione unica al mondo è rappresentata perciò dai costumi appartenuti a loro. Gli Schwarzenberg possedevano anche un palazzo a Vienna ed erano molto coinvolti nelle attività teatrali viennesi, e i pezzi di questa raccolta hanno quindi una forte connessione con la moda dell’Europa Centrale in quanto tale. Possiamo suddividere i costumi nelle seguenti categorie: costumi da balletto eroico, costumi pastorali, costumi da professionisti o personaggi particolari, costumi per la commedia dell´arte e costumi esotici. Nell’archivio del Castello, inoltre, esistono ancora parte degli inventari, e possiamo quindi confrontare le descrizioni di questi costumi e vederle cambiare nel tempo. Molti sono costumi per bambini, perché ai balletti-pantomima che si tenevano al Teatro del Castello di Český Krumlov spesso prendevano parte i figli dei nobili. Tutti i costumi sono stati cuciti a mano e hanno tagli molto interessanti. I più vecchi sono ricamati con fili d’argento etc.

Donatella Lippi (Professore Associato Storia della Medicina, Università di Firenze)

Danza e Nodi Magici

Secondo alcuni antichi documenti, il “Tarantismo” era un’oscura malattia, che fra il XV e il XVII  secolo si diffuse in modo epidemico nell’Italia del sud. Si pensava che fosse provocata dal morso  di un ragno velenoso che vive sui monti pugliesi, la tarantola (Lycosa tarantula). Tutto fa  pensare che non vi fosse una causa organica alla base della grande eccitabilità e irrequietezza di  cui erano preda le vittime, ma non esiste un’interpretazione unanime: è tuttavia generalmente  riconosciuto che la durezza delle condizioni di vita alla fine del Medioevo – catastrofi naturali,  Morte Nera, carestie, fermenti sociali – spingevano gi europei a cercare sollievo nell’“ebbrezza  di un delirio artificiale”. La credenza del tempo era che le vittime dovessero lanciarsi una danza  frenetica per evitare di morire di tarantismo. Si pensa che da questa terapia sia nata una danza  particolare, la tarantella o pizzica. Durante il rituale, la ragazza che danza si muove  ritmicamente, avvolgendosi avanti e indietro nel lenzuolo di lino sbiancato prima di alzarsi in piedi per ballare passi della pizzica all’interno del contorno del lenzuolo. Alla fine si accascia con grazia al suolo, solo per ripetere la sequenza varie volte finché i musicisti arrivano alla fine dell’esecuzione musicale. Questa danza, considerata al tempo stesso sacra e terapeutica, era eseguita dai contadini come un ballo di strada, con la trance indotta dalla musica. I danzatori portavano abiti bianchi e nastri colorati, che evocavano la sfera delle malattie nervose, dal momento che l’epilessia e la possessione demoniaca venivano curate con musica e nodi colorati. Si credeva infatti che il male si potesse catturare nel nastro per mezzo del nodo magico.

Jackie Marshall-Ward (Researcher, Performer, Teacher and Director of Dance Royal and Hands on History, UK)

Ballo per l’abito o Abito per il ballo: abbigliamento o costume?

Nel XVI secolo, Antonius Arena scrisse: “Quando danzate, indossate sempre i vostri abiti più eleganti.” Era un consiglio all’aspirante cortigiano, per il quale la danza era un atout sociale essenziale: essa dava infatti la possibilità di fare colpo sia sui superiori che sui propri pari, laddove l’apparenza era inseparabile dallo status e i soli a praticare la danza come professione erano i maestri accolti a corte. Le opere di questi ultimi ci forniscono la descrizione dettagliata di passi e coreografie, consentendoci di ricreare con precisione le danze. Ma cosa bisognava indossare? Non veniva richiesto di creare un “costume”. Il ballerino si presentava con i suoi “abiti” più spettacolari. Per lui la danza era il mezzo ideale per mettersi in luce, e i passi e lo stile dipendevano da cosa indossava. Per ricreare queste danze con una certa fedeltà dobbiamo attenerci a questa premessa, lavorando all’interno dei vincoli dell’abbigliamento. E quindi cosa ne è del “costume”? Esistono documenti che risalgono ai primissimi tempi dell’intrattenimento e che già chiedono ai partecipanti di essere diversi da se stessi. Il ”vestiario” viene creato per uno scopo specifico, e diventa “costume”.  Viene indossato solo durante l’esecuzione, e perciò le limitazioni della moda del tempo possono essere messe da parte consentendo al professionista di esplicare tutta la propria fisicità. Nella storia del ballo bisogna fare una distinzione fra danza sociale e danza professionistica. Per presentare la prima in modo autentico è essenziale indossare gli abiti più appropriati, ricreati in riferimento al lavoro di Janet Arnold e altri, allo scopo di sentire come bisogna muoversi. Oggi chi pratica il ballo di tipo sociale è nella maggior parte dei casi un dilettante, e indossa i propri abiti. Viceversa, l’abbigliamento dei professionisti è completamente specifico alla loro performance e non può avere altra funzione. E allora, si danza per vestirsi o ci si veste per danzare?

Barbara Menard Pugliese (Dance Historian and Director, Commonwealth Vintage Dancers, Boston, USA)

Ricreare la sala da ballo del XX secolo

Da trent’anni il movimento Vintage Dance si adopera per far rivivere il ballo sociale storico in  America. Decine di  gruppi di appassionati si sono ritrovati per ricreare ed eseguire le danze  dell’Ottocento e dei primi del  Novecento. Da 26 anni il gruppo dei Commonwealth Vintage  Dancers cerca, ricostruisce e ricrea questi balli. Fin  dall’inizio  queste persone hanno deciso che  fosse importante indossare abiti adeguati per ogni epoca. Tutti i vestiti  sono  realizzati usando  al meglio le tecniche di cucito del tempo. Per le donne il corsetto è sempre stato un obbligo.  Questa attenzione ai dettagli si estende ai balli organizzati dalle associazioni: per ogni dato  evento: tutta la musica,  la danza e perfino le ricette per il rinfresco sono appropriate a una

data specifica, per esempio il 1892. I danzatori  indossano abiti formali di  quell’anno, e anche chi assiste viene incoraggiato a presentarsi con un abbigliamento del  periodo, o in moderno abito da cocktail. Questo saggio discuterà in che modo unabbigliamento corretto influenza  le nostre  ricostruzioni. Per esempio,  abbiamo scoperto che riprodurre gli abiti contribuisce ad accentuare la  differenza fra una schottische degli anni ’60  dell’Ottocento e una degli anni ’90. Il modo in cui si muovono i tessuti e  le biancherie influisce su come i danzatori  decidono di ammortizzare i salti richiesti dal ballo, contribuendo così a  rendere più simile all’originale la nostra  ricostruzione della danza. Allo stesso modo, un abbigliamento accurato  dal punto di vista storico influenza il  comportamento di tutti i partecipanti ai nostri balli ottocenteschi, dandoci  un’idea più completa di quello che erano queste danze nel loro contesto originale.

Hector Manuel Meneses Lozano (Textile Conservator, Museo Textil de Oaxaca, Oaxaca, Mexico)

Zagalejo: una gonna che brilla con grazie

Nel 2010 il Messico festeggerà i cento anni della Rivoluzione Messicana e i duecento dell’Indipendenza. Il Museo Textil de Oaxaca parteciperà alla celebrazione con l’apertura di una mostra sui tessuti patriottici. Fra gli oggetti che verranno esibiti spicca il costume della China poblana, ormai un’icona delle donne nazionaliste del Messico. Questo costume è usato per danzare il Jarabe tapatío, in cui la china balla con il charro (che è idealmente il partner di ogni china). Il costume della china può essere facilmente identificato dagli elementi seguenti: una blusa decorata con perline di vetro, lo zagalejo (una gonna con lustrini ornata di simboli nazionali), un rebozo (scialle), e gioielli come orecchini e collane. Come restauratore di tessuti ho scoperto che la gonna di questo costume presenta vari problemi a causa del materiale di cui è fatta. Il tessuto di base è generalmente lana stampata con una cintura di seta, con lustrini di metallo e/o celluloide.  Fra gli ornamenti talvolta c’è della carta dipinta. La coesistenza di tutti questi materiali crea una situazione assai complessa. Questo studio confronterà la tecnica di fabbricazione di sei gonne diverse appartenenti al museo, contribuendo alla comprensione del processo di deterioramento e delle soluzioni trovate per la conservazione, il trattamento e l’esibizione.

Caroline Anne O’Brien (Costume Designer and Associate Professor in Theatre School, Ryerson University, Toronto, Canada)

Intimate pas de deux: la prima ballerina e il tutu classico

Quella della principessa rimane una delle icone più popolari della cultura occidentale. La prima ballerina è fra le immagini più riconoscibili della principessa, ed è tuttora una figura unica nel mondo della danza occidentale in costume. La tesi del mio saggio è che la ballerina classica e il suo tutù costituiscano un duetto inseparabile sul palcoscenico. La ballerina costruisce la propria identità sia per mezzo del vocabolario della danza che di quello del costume, ma agli occhi dello spettatore gran parte del suo significato andrebbe perduto se non indossasse il suo classico tutù. Uno studio del modo in cui un danzatore può indossare il costume ci offre nuove idee sul significato del costume classico nel balletto. La mia tesi è che a teatro il corpo diventa un effetto ottico che si realizza per mezzo dei costumi; il corpo della ballerina anima e porta alla vita il tutù. Senza il suo costume, la ballerina non può trasformarsi nella principessa. Il tutù, come icona del balletto, dà vita a un intimo rapporto col suo corpo, e indica la centralità del suo ruolo nella storia che si svolge sul palco. Senza il tutù, la rigorosa preparazione e l’articolazione della performance della ballerina perdono senso, così come il tutù senza la ballerina che lo indossa, abbandonato in un mucchietto sullo scaffale.

Sara Piccolo Paci (Costume Historian & Anthropologist, Firenze)

“Vestirsi per un ultimo ballo: il lato oscuro della danza – dalla Totentanz a Thriller”

Il legame tra Morte e Danza è antico e si può rintracciare in molte culture diverse, anche  lontane tra loro per spazio e tempo.     Tuttavia vi è un preciso momento nella cultura occidentale  quando i due concetti si legano in modo perentorio: tra XII e XVI secolo si sviluppano testi ed  iconografie specifiche dove la Morte, sotto forma di scheletro danzante, impone la sua danza ai  mortali, la cui identità è resa visibile dall’abito che indossano. Dal papa al sacerdote,  dall’imperatore alla nobildonna, dal mercante al contadino fino alla giovane madre col  bambino, tutti ‘danzano’ con la morte, esprimendo al tempo stesso la propria vibrante vitalità e  interrogando anche noi moderni sul senso dell’esistenza. Dai primi poemi morali medievali –  forse ispirati al “Vado Mori” latino – attraverso alcune delle iconografie più famose – le  Totentanz di Basilea e Lucerna e le xilografie di Holbein -, fino al fascino per l’orrido e il  macabro di film e videoclip moderni – come “Il Settimo Sigillo”,  “All that Jazz” e “Thriller” – si vuole esplorare gli aspetti antropologici e psicologici nelle vesti che rappresentano l’ambiguo rapporto vita/morte, il significato della rappresentazione dell’abito quale ‘ultima immagine’ di sé e la ‘moda’ medesima  quale lato ‘artificiale’ e ‘terminale’ della vita stessa.

Marco Raffa (Giornalista, Genoa)

Abiti tra danza e storia: ipotesi di ricostruzione

L’intento di coniugare la ricerca sul costume del periodo medievale e tardorinascimentale con l’utilizzo di abiti ricostruiti per spettacoli e rievocazioni storiche ha portato a sviluppare un metodo di analisi delle fonti – miniature, incisioni, affreschi, dipinti, inventari e dove possibile reperti originali – e successivamente a individuare tecniche di ricostruzione con materiali e metodi moderni. Gli stessi abiti devono poi essere indossabili e consentire un utilizzo non statico, quale quello richiesto dalle coreografie di danza che, per ogni epoca presa in esame, prevedono passi e movimenti specifici e che – in particolare per l’abito-corazza della moda femminile spagnola di primo Seicento –  devono quindi poter essere “letti” attraverso il filtro delle vesti.  Si sono studiati ad esempio i ritratti delle dame genovesi del XVII secolo eseguiti da Rubens e Van Dyck, oppure le incisioni presenti nel trattato di danza “Le Gratie d’Amore” del 1602 ricostruendone alcuni mantenendo la filosofia costruttiva dell’epoca – la scansione di “verdugale”, “faldetta”, “giupone”, maniche “che s’investono” e maniche pendenti –  realizzando al tempo stesso gli elementi decorativi – galloni, ricami, gioielli applicati sul tessuto – e completando il tutto con gli elementi tipici del periodo: collari a lattuga o gorgiere, manicelli, gioielli da testa, eseguiti rispettando le tipologie che, pur a distanza di pochi decenni, variavano in modo significativo. L’esecuzione ha dovuto rispettare le caratteristiche –  visive e tattili –  di tessuti e accessori, ma al tempo stesso risultare “possibile” con l’impiego di materiali disponibili sul mercato o eseguiti artigianalmente, e poter essere riutilizzabile, senza e continui riadattamenti, per concerti e spettacoli.

Fiona Reilly (Costume Designer, Academic & Historian, National Institute of Dramatic Arts, Sydney, Australia)

Costume da Ballo come espressione di cultura: la coesistenza e coesione di costumi europei e aborigeni in Australia

La storia della danza in Australia copre migliaia di anni, e oggi rispecchia le contraddizioni che costituiscono il  paesaggio culturale australiano. Sono state tali contraddizioni a ispirare il saggio che esaminerà il lavoro di due  costumisti, ognuno dei quali incarna un aspetto del design australiano per la danza: Kristian Fredrikson e Jennifer  Irwin. Kristian Fredrikson (1945 – 2005) potrebbe essere definito “un gentleman europeo agli antipodi”. I suoi  riferimenti culturali affondano solide radici nella tradizione europea. Era stato allevato con le leggende giudaico-  cristiane e il folklore britannico ed europeo, e immerso nelle arti della “madrepatria”. La sua opera è  profondamente sensuale, e negli ultimi anni è evidente una vibrazione orientale che riflette il modo in cui  l’Australia di oggi guarda all’Asia. Fredrikson lavorò per due compagnie in particolare, l’Australian Ballet e la  Sydney Dance Company, e il saggio vuole tracciare lo sviluppo delle sue influenze nei costumi seguendo i  cambiamenti del panorama culturale australiano. Invece Jennifer Irwin (1958 – ), che ha cominciato la sua  carriera realizzando i costumi disegnati da Fredrikson, ha fatto un percorso verso la cultura indigena australiana,  disegnando i costumi per il Bangarra Dance Theatre (la compagnia di danza nazionale degli aborigeni e degli  indigeni dello Stretto di Torres) e realizzando lavori trans-culturali per l’Australian Ballet. Il suo è un mondo di  ocra, polvere e argilla, in cui la Sagra della Primavera di Stravinsky fonde l’Europa con l’outback, le zone interne  dell’Australia. Il saggio prenderà in esame l’influenza di questi costumisti e le loro convergenze, indagando il modo  in cui ognuno dei due crea costumi di grande poesia e immaginazione, ma uno appartiene all’aria (Fredrikson nella tradizione europea) e l’altra alla terra (Irwin nello stile della danza australiana). Entrambi sono anche famosi per l’uso dei tessuti, con approcci completamenti differenti tra loro.

Maria Paola Ruffino (Curator, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino)

withThessy Schoenholzer Nichols (Adjunct Professor of Costume Studies and Design Polimoda, Firenze)

Il giuppone “da ballo” seicentesco di Casa Savoia

E’ recentemente emerso dai depositi di Palazzo Madama di Torino un giuppone seicentesco in raso avorio proveniente dalla corte dei duchi di Savoia. Il fitto ricamo tinta su tinta che lo ricopre interamente ripete infatti lacci e rose di Savoia. Si presenta oggi privo di finiture, ma l’analisi dettagliata della confezione e la ricerca storica e iconografica di confronto portano a ipotizzare  che si tratti di un abito di scena, realizzato per uno dei balletti allestiti per le feste di corte secondo l’uso portato a Torino da Cristina di Francia. Nelle rappresentazioni messe in musica sui raffinati libretti di Filippo d’Aglié, recitavano gli stessi membri della corte abbigliati di costumi bellissimi, di cui ci tramandano memoria gli album miniati dal segretario e calligrafo di corte Giovanni Tommaso Borgonio. Lo studio già ha permesso di identificare due momenti nella vita del giuppone: quello della prima confezione, con apertura anteriore allacciata da alamari e lacci sul dorso, cui seguì la chiusura del davanti e la realizzazione delle asole circolari sul dorso, che obbligava ad avere assistenza per indossarlo. Con la ricostruzione del cartamodello meglio si ripercorreranno le modifiche e sarà possibile ricostruire virtualmente anche il primo uso del manufatto, che presenta oggi parti forse provenienti da un altro capo coordinato, probabilmente i calzoni.

Katarina Nina Simoncic (Assistant professor of Clothing Design and Textiles, University of Zagreb, Croatia)

Costume da ballo croato nel 19° secolo: simbolo di cambiamento politico e sociale a Zagabria

In questo saggio i costumi per la danza sono esaminati essenzialmente come simbolo di  cambiamenti politici e sociali nella Zagabria del XIX secolo. Nell’Europa e nella Zagabria  dell’Ottocento le danze popolari avevano una grande influenza sulla forma dei costumi, per  quanto anche influenze di moda e antimoda avessero un ruolo significativo. Nella prima metà  del secolo, con l’aumentare della coscienza nazionale, i costumi con elementi antimoda, cioè  elementi dell’abbigliamento tradizionale, diventano una caratteristica del risveglio  dell’ideologia nazionalistica. Da questo punto di vista il costume da ballo è segnato in primo  luogo dall’appartenenza politica e dal patriottismo, incorporando elementi del costume  nazionale croato nella danza di moda al tempo. Alla fine dell’Ottocento l’industria tessile di  Zagabria è in pieno sviluppo, con effetti sui costumi. Anche la posizione di Zagabria, che fa parte  dell’Impero Austro-Ungarico, determina l’arrivo delle mode da Vienna e Parigi. La pista da ballo diventa un luogo dove si presentano le giovani di buona famiglia pronte per il matrimonio e in cerca di un buon partito, con costumi che ne dimostrano lo status economico. Prima della fine del XIX secolo il nazionalismo e il patriottismo cessarono di essere simbolizzati nei costumi, che divennero invece un mezzo di autopromozione delle ragazze. Questo saggio  si concentra una ricerca condotta in vari archivi, biblioteche e musei di Zagabria. I risultati si basano sull’analisi e il confronto di giornali, costumi conservati fino a oggi, illustrazioni di moda, fotografie, incisioni e dipinti dell’epoca.

Nina Tarasova (Curator of Costume, The State Hermitage Museum, St. Petersburg, Russia)

Abiti da ballo e maschere della corte russa presso il Museo Hermitage

Questa collezione unica di tessuti, costumi e accessori russi al Museo dell’Hermitage comprende oltre 22.000 oggetti. La struttura della raccolta fornisce vaste opportunità di ricerca e ci consente di studiare molti aspetti della storia dei costumi in Russia, comprese le questioni della formazione della tradizione e del carattere specifico dei costumi da ballo russi. Balli e mascherate erano, insieme alle cerimonie ufficiali, gli elementi più importanti e visivamente stupefacenti della vita di corte russa. Nella loro organizzazione erano impegnati grandi architetti, artisti, musicisti e stilisti. Erano il culmine della vita di corte e rappresentavano, per così dire, «un’immagine dell’Impero». Nell’inverno del 1903 si tenne un grandioso ballo in maschera al Palazzo d’Inverno, la residenza imperiale principale di Russia. L’idea del ballo era dell’ultima imperatrice russa Alexandra Feodorovna. A palazzo furono invitati quasi 400 visitatori abbigliati nello stile degli abiti russi del XVII secolo. Solo pochissimi dei costumi di quel ballo, che si rivelò poi essere l’ultimo della Russia Imperiale, scamparono miracolosamente alla Rivoluzione di Ottobre. Nel 1941 entrarono a far parte della collezione dell’Hermitage, alcuni in condizioni pessime. Oggi la loro esposizione è possibile grazie ai curatori e ai restauratori di tessuti del Museo dell’Hermitage.

Corinne Thépaut-Cabasset (Researcher of History and Art History at Versailles Palace, France )

Shopping per la danza nella Parigi del tardo Seicento: vestiti principeschi per i Balli nelle Corti Europee

Negli anni Ottanta del XVII secolo Parigi è il centro assoluto e la capitale delle arti e dello spettacolo, nonché della  moda e dei consumi di lusso. L’esame degli elenchi dei commercianti alla fine del secolo, il confronto e il controllo  incrociato dei resoconti dei viaggiatori e dei carteggi diplomatici con le risorse di archivio mai pubblicate, come  i  documenti doganali per i beni di lusso, è un approccio nuovo e dinamico allo studio dei costumi per la danza, la  loro creazione ed economia. Ogni principe europeo ordinava opere, spettacoli di danza e balli in maschera per  intrattenere la corte, concentrandosi proprio su Parigi per procurarsi le creazioni più nuove e piacevoli. I maestri  di musica e danza venivano richiesti a corte, così come sarti, acconciatori, ricamatori e così via. Ho recuperato  molti documenti dagli archivi degli affari esteri di Parigi e Monaco di Baviera, trovando molti esempi di questo tipo  di richieste da parte del principe. Le bolle conservate a Parigi contengono elenchi dettagliati di articoli da mandare  da Parigi alla corte dell’Elettore di Monaco fra il 1680 e il 1690, completate dalle lettere del residente bavarese che  danno nomi di commercianti e artigiani, prezzi, modalità di acquisto e mezzi di spedizione… Alcuni di questi  documenti possono essere arricchiti da incisioni e disegni dei costumi conservati nei musei nazionali.Altre corti  chiedevano ad artisti e artigiani francesi di contribuire alla creazione di feste danzanti; questa vicenda franco-bavarese non è che un esempio dell’immenso materiale d’archivio ancora da esplorare.

Tamara Tomic-Vajagic (PhD Candidate, Roehampton University, London – Visual Artist and Dance Historian/Writer, Belgrade, Serbia)

L’introduzione dei balletti in calzamaglia e l’estetica degli abiti da prova nella danza del 20° secolo

Questo saggio analizza l’emergere e il diffondersi dell’estetica del body e dei practice-clothes nel balletto del XX secolo. Questo sottogenere di cosiddetto balletto astratto è diventato famoso a metà del secolo, con la revisione del 1951 da parte di George Balanchine dei suoi balletti privi di trama  Concerto Barocco (1944) e The Four Temperaments (1946). Ma possiamo trovare le radici, e le prime apparizioni di disegni di body/unitard al posto dei costumi teatrali, all’inizio del XX secolo, in tutto il repertorio dei Ballets Russes. Inoltre, le idee sperimentali del teatro russo di avanguardia richiedevano la liberazione del corpo (Souritz, 1990, 182) e furono segno di un tipo di esplorazione orientata al processo creativo. Questo saggio prenderà in esame le prime apparizioni dei costumi a body e analizzerà il modo in cui queste prime idee hanno influenzato l’emergere del sottogenere ballettistico del body a metà del Novecento. Il saggio analizzerà inoltre il rapporto storico fra questi costumi così essenziali e l’esperienza sulla scena del performer, nonché il processo creativo messo in atto nel corso della performance stessa.


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